Salsetian proven
Robin Williams, parla la vedova: "Non è stata la depressione a spingerlo al suicidio"
Robin Williams aveva gravi problemi di salute che lo avrebbero ucciso entro tre anni se non avesse deciso di suicidarsi. A rivelarlo, nella sua prima intervista da quando l'attore è morto l'11 agosto dello scorso anno, è stata la moglie Susan Schneider in una lunga e drammatica intervista concessa alla ABC News. "Vivevamo un incubo", ha detto la donna alla trasmissione 'Good Morning America', raccontando che suo marito si stava "disintegrando davanti ai miei occhi", nelle settimane prima della sua morte.
All'attore dell''Attimo Fuggente', a cui era stato diagnosticato il morbo di Parkinson, era infatti affetto anche da una malattia neurodegenerativa nota come la demenza a corpi di Lewy (DLB), causata da depositi di una proteina anomala all'interno delle cellule cerebrali, che disturbano le normali funzioni del cervello provocando demenza, allucinazioni, disturbi cognitivi, cambi dello stato mentale repentini e difficoltà motorie. Sintomi che, ha spiegato la vedova Williams "si presentano all'improvviso e senza un preciso ordine", ma che hanno svelato la patologia soltanto all'autopsia.
"Se fosse stato fortunato Robin avrebbe avuto forse altri tre anni di vita. Ma sarebbero stati anni duri e con una buona probabilità sarebbe stato rinchiuso", ha detto ancora Susan, ricordando che nei mesi precedenti il suicidio, l'attore ha sofferto di attacchi di ansia, rigidità muscolari e motorie a causa delle quali un giorno ha sbattuto contro una porta procurandosi una profonda ferita alla testa.
Secondo Susan, che ha detto di aver passato l'ultimo anno a cercare di capire che cosa ha ucciso davvero suo marito, non è stata quindi la depressione a spingere Robin Williams al suicidio. Quello era solo uno dei circa cinquanta sintomi della sua malattia. "Robin era consapevole del fatto che stesse impazzendo e che non potesse farci niente, era del tutto lucido e sobrio quando è morto". Stava affrontando i suoi problemi, come meglio poteva, ha detto la donna, descrivendolo come "l'uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto". Purtroppo "nell'ultimo mese la diga si è rotta. E per questo non lo biasimo nemmeno un po'". E alla domanda se il suicidio del marito possa essere interpretato come un modo di riprendere il controllo, ha risposto: "Secondo me, sì".
Susan ha infine raccontato tra le lacrime, gli ultimi momenti dell’attore prima della morte. "Stavo andando a letto, è entrato nella stanza un paio di volte e ha detto: "Buonanotte, amore mio". Poi è tornato e ha preso il suo iPad. Ho pensato che stesse meglio. Ha ripetuto: "Buonanotte". E quella è stata l'ultima volta che l'ho visto".
Fonte: AdnKronos
All'attore dell''Attimo Fuggente', a cui era stato diagnosticato il morbo di Parkinson, era infatti affetto anche da una malattia neurodegenerativa nota come la demenza a corpi di Lewy (DLB), causata da depositi di una proteina anomala all'interno delle cellule cerebrali, che disturbano le normali funzioni del cervello provocando demenza, allucinazioni, disturbi cognitivi, cambi dello stato mentale repentini e difficoltà motorie. Sintomi che, ha spiegato la vedova Williams "si presentano all'improvviso e senza un preciso ordine", ma che hanno svelato la patologia soltanto all'autopsia.
"Se fosse stato fortunato Robin avrebbe avuto forse altri tre anni di vita. Ma sarebbero stati anni duri e con una buona probabilità sarebbe stato rinchiuso", ha detto ancora Susan, ricordando che nei mesi precedenti il suicidio, l'attore ha sofferto di attacchi di ansia, rigidità muscolari e motorie a causa delle quali un giorno ha sbattuto contro una porta procurandosi una profonda ferita alla testa.
Secondo Susan, che ha detto di aver passato l'ultimo anno a cercare di capire che cosa ha ucciso davvero suo marito, non è stata quindi la depressione a spingere Robin Williams al suicidio. Quello era solo uno dei circa cinquanta sintomi della sua malattia. "Robin era consapevole del fatto che stesse impazzendo e che non potesse farci niente, era del tutto lucido e sobrio quando è morto". Stava affrontando i suoi problemi, come meglio poteva, ha detto la donna, descrivendolo come "l'uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto". Purtroppo "nell'ultimo mese la diga si è rotta. E per questo non lo biasimo nemmeno un po'". E alla domanda se il suicidio del marito possa essere interpretato come un modo di riprendere il controllo, ha risposto: "Secondo me, sì".
Susan ha infine raccontato tra le lacrime, gli ultimi momenti dell’attore prima della morte. "Stavo andando a letto, è entrato nella stanza un paio di volte e ha detto: "Buonanotte, amore mio". Poi è tornato e ha preso il suo iPad. Ho pensato che stesse meglio. Ha ripetuto: "Buonanotte". E quella è stata l'ultima volta che l'ho visto".
Fonte: AdnKronos
Nuda sul tetto per 4 ore, lo scatto finisce sul web e scatena una pioggia di tweet
Nuda a gambe aperte su un tetto di Londra per oltre 4 ore. A Commercial Street la signora ha lasciato molti passanti increduli a bocca aperta. Raquel Rodrigues l'ha fotografata e il suo tweet ha fatto il giro del mondo. "C'è chi si chiedeva se fosse un porno, chi voleva chiamare i vigili del fuoco e, invece, è un'opera d'arte" cinguetta la ragazza. "Ci ho messo un po' a scoprirlo, pensavo fosse una pazza, credevo avesse freddo. Solo dopo ho capito che era una installazione vivente". L'artista, spiega l'Evening Standard, è rimasta sul tetto in quella scomoda posizione per ore nell'ambito del Festival ai Toynbee Studios, la struttura sottostante.
Red Bull disintegrata: che paura per Daniil Kvyat
Tanta, tantissima paura, ma fortunatamente nessuna conseguenza grave per Daniil Kvyat. Il pilota russo della Red Bull ha concluso la sessione di qualifiche sul circuito di Suzuka, in Giappone, con un incidente tanto terrificante quanto spettacolare: Kvyat ha perso il controllo della sua vettura toccando un cordolo bagnato e si è schiantato ad altissima velocità sulle barriere di protezione al margine della pista, rimbalzando poi sul prato.
Bonucci: "Niente Alibi Ritroviamo La Fame"
Due punti "buttati via, senza se e senza ma". Non cerca alibi
Leonardo Bonucci nel commentare il pareggio beffa della Juventus con il
Frosinone. "Prendiamoci le responsabilità per trasformare i fischi
finali in applausi", ha scritto su Facebook il difensore bianconero, che
ieri indossava per la prima volta la fascia da capitano. "Mi sarebbe
piaciuto vivere la prima volta con la fascia da capitano della Juve con
un finale diverso, è un orgoglio portare la fascia che è e che è stata
di grandissimi campioni che hanno fatto la storia della Juve. Che ci
serva da esperienza. Che ci faccia tornare quella fame di portare a casa
il risultato che ha sempre contraddistinto chi ha indossato questa
gloriosa maglia portandola in alto, in Italia e in Europa. Così si
diventa squadra, così si diventa grandi".
Juve, numeri impietosi: la sfida col Napoli è già decisiva
Può essere decisiva in chiave scudetto una partita che arriva a fine settembre? Dal punto di vista aritmetico chiaramente no ma questo non toglie nulla al fatto che un passo falso della Juve sabato sera contro il Napoli scucirebbe almeno metà tricolore dal petto dei campioni d'Italia.
Il lascito del clamoroso pareggio contro il Frosinone è soprattutto questo: un lascito molto più pesante di quello che non dica l'1-1 in sé, un passo falso che arriva dopo cinque giornate fotografate infatti da numeri impietosi per Allegri e i suoi ragazzi.
Cinque punti fatti contro i quindici di una stagione fa. Cinque gol messi a segno e altrettanti subiti contro le dieci reti realizzate e le zero subite del campionato scorso. Uno Stadium che ha perso la sua fisionomia di fortino inespugnabile: tre punti li ha portati via l'Udinese, uno il Chievo, un altro, appunto, il Frosinone. Numeri, si diceva, impietosi, fotografia di una crisi dentro cui navigano tutti i problemi di una stagione che - proclami a parte - a questo punto rischia veramente di trasformarsi in un'annata di opaca transizione. In Italia per lo meno.
C'è l'inesperienza di cui ha parlato Max Allegri, ci sono i tanti infortuni - soprattutto a centrocampo, zona già di per sè indobolita dalle partenze di Pirlo e Vidal - c'è un turnover che non ha dato i frutti sperati, ci sono il rebus Dybala, l'andamento a corrente alternata di Pogba, le amnesie difensive, la media realizzativa molta bassa se è vero come è vero che in cinque partite ci sono voluti ben trenta tiri nello specchio della porta avversaria per realizzare cinque gol, e c'è soprattutto la mancanza di quella cattiveria agonistica che aveva contraddistinto il gruppo bianconero nelle ultime quattro annate.
Fatto sta che da 45 anni la Juve non partiva tanto male e che ora come ora con dieci punti di distacco da chi comanda un altro passo falso avrebbe il sapore di una resa anticipata. Ecco perché, aritmentica a parte, la sfida del San Paolo è già assolutamente decisiva.
Il lascito del clamoroso pareggio contro il Frosinone è soprattutto questo: un lascito molto più pesante di quello che non dica l'1-1 in sé, un passo falso che arriva dopo cinque giornate fotografate infatti da numeri impietosi per Allegri e i suoi ragazzi.
Cinque punti fatti contro i quindici di una stagione fa. Cinque gol messi a segno e altrettanti subiti contro le dieci reti realizzate e le zero subite del campionato scorso. Uno Stadium che ha perso la sua fisionomia di fortino inespugnabile: tre punti li ha portati via l'Udinese, uno il Chievo, un altro, appunto, il Frosinone. Numeri, si diceva, impietosi, fotografia di una crisi dentro cui navigano tutti i problemi di una stagione che - proclami a parte - a questo punto rischia veramente di trasformarsi in un'annata di opaca transizione. In Italia per lo meno.
C'è l'inesperienza di cui ha parlato Max Allegri, ci sono i tanti infortuni - soprattutto a centrocampo, zona già di per sè indobolita dalle partenze di Pirlo e Vidal - c'è un turnover che non ha dato i frutti sperati, ci sono il rebus Dybala, l'andamento a corrente alternata di Pogba, le amnesie difensive, la media realizzativa molta bassa se è vero come è vero che in cinque partite ci sono voluti ben trenta tiri nello specchio della porta avversaria per realizzare cinque gol, e c'è soprattutto la mancanza di quella cattiveria agonistica che aveva contraddistinto il gruppo bianconero nelle ultime quattro annate.
Fatto sta che da 45 anni la Juve non partiva tanto male e che ora come ora con dieci punti di distacco da chi comanda un altro passo falso avrebbe il sapore di una resa anticipata. Ecco perché, aritmentica a parte, la sfida del San Paolo è già assolutamente decisiva.
Iscriviti a:
Post (Atom)